giovedì 3 settembre 2015

Recensione: "Uno, nessuno e centomila", Luigi Pirandello

Uno, nessuno e centomila
UNO, NESSUNO E CENTOMILA
 
Titolo: Uno, nessuno e centomila
Autore: Luigi Pirandello
Pagine: 190
Edizione: Collana, Corriere della sera
Prezzo: 4,90€
Consigliato:


Letture importanti quest'estate! Tra le mie mani è stato accolto anche "Uno, nessuno e centomila" di Pirandello. Un racconto piuttosto breve (solo 8 capitoli) ma molto intenso. Esso fu inizialmente pubblicato a puntate sul settimanale "La fiera letteraria" nel 1926.
Il romanzo si apre con la comparsa di due figure: Vitangelo Moscarda, signorotto di città che conduce una vita tranquilla e agiata, e Dida, sua moglie. Gengè, nomignolo attribuito a Vitangelo dalla sua stessa moglie, mentre indugia dinnanzi allo specchio, viene interrotto proprio da lei, la quale gli domanda cosa stesse facendo; egli risponde di esser lì a controllarsi il naso per un piccolo dolorino all'interno di una narice, e Dida domanda se si fosse accorto che pende dal lato destro.
Per quella insignificante pendenza, accade di tutto.
Di qui hanno inizio una serie di tormenti interiori del povero Gengè, il quale comincia a far ruotare su quel suo difetto fisico anche i rapporti umani. Comincia a intrattenere conversazioni con i suoi colleghi della banca alquanto distratte, interrompendole di tanto in tanto domandando loro se stessero fissando il suo naso pendente. Ovviamente, questi rispondevano di no. Essi già sapevano di quel suo piccolo difetto, ma nessuno ci aveva prestato più di tanta attenzione se non al primo sguardo. Per Gengè (perdonate la confidenza che mi prendo col personaggio, ma mi ci son ritrovata molto in alcuni suoi ragionamenti) quella pendenza vuol dire molto di più di ciò che appare. Vuol dire essersi visto sempre in un modo ed esserne apparso in maniera totalmente differente agli occhi degli altri. Se per lui non era più quel Vitangelo che aveva sempre creduto di essere, cos'era per gli altri? Chi era? Se non si era lui reso conto di un proprio difetto fisico e gli altri invece sì, di quante altre cose era convinto che fossero così come lui credeva di aver mostrato mentre, in realtà, per ognuno assumevano una visione diversa secondo i propri canoni idealistici? Confusi? Benissimo! Siete già immersi nello spirito del libro! 
Da questo momento, Gengè cerca di sentirsi "meno solo" evidenziando anche i difetti dei suoi conoscenti, alcuni dei quali rimangono interdetti da quella scoperta. Ma fosse solo questo il male peggiore! Narrando in prima persona, Gengè espone gli stadi graduali della sua pazzia, arrivando a sfrattare una famiglia di affittuari (guadagnandosi non poche critiche e ingiurie della popolazione) per poi far loro dono di una nuova dimora, molto più accogliente della precedente, provocando alcuni danni economici alla banca di cui ne è proprietario. Proprio di quest'ultima, se ne sbarazzerà senza preoccuparsi di chi per anni ne ha fatto parte svolgendo il proprio lavoro, tra cui i suoi "compagni", Firbo e Quantorzo, i quali vengono intimoriti da quella sua inaspettata follia. Quella stessa follia che comincia a preoccupare anche sua moglie Dida, la quale decide di abbandonare il tetto coniugale e di intervenire legalmente per fermarlo (o incastarlo, direi io) aiutata da Firbo e Quantorzo. Persino Annarosa, amica della donna e atratta da Gengè, in un primo momento sembra volerlo aiutare per evitare che il piano messo in atto dalla sua amica si concretizzi, ma spaventata anch'ella dai discorsi intrattenuti da lui, gli spara ferendolo in maniera non indifferente.
Gengè sembra ormai solo. Lui credeva di essere "uno", quell'uno come lui si poneva di essere e come credeva che gli altri lo vedessero, ma si rende conto di essere "centomila", un Vitangelo diverso per ognuno, un suo gesto interpretato in centomila modi differenti, una sua parola percepita in chissà quale maniera, e diviene pian piano "nessuno" per se stesso, si annulla. Se non è chi credeva di essere e di apparire, cosa è allora lui per se stesso? Comincia a dubitare di ogni singola componente della sua personalità, del suo aspetto, di tutto ciò che fino a quel momento credeva che fosse come lui percepiva.
Ritiene inutili i commenti e gli ideali della gente, in quanto son validi solo per la bocca e la mente che li divulga, ma non è detto, anzi, è certo, che per le orecchie che li ascoltano, assumono tutto un altro significato.
Chi siamo noi, in realtà? Chi sappiamo di essere, o come gli altri ci identificano?
Questa, credo, sia una delle domande più frequenti che rivolgiamo a noi stessi arrivati ad un certo punto della nostra vita. E ce la rivolgiamo per i più svariati motivi; per mancata integrazione in qualche gruppo sociale, per curiosità, per necessità, per tormenti interiori nel lungo viaggio alla scoperta di se stessi.
Mi rivolgo a tutti coloro che leggeranno questo post, dato che ne ho la possibilità. Dalla mia modesta esperienza, ho potuto comprendere quanto sia vero lo "sdoppiamento" di personalità propria tra le persone che ci circondano. Per me io sono Simona, una semplice ragazza che vive in maniera umile e senza fronzoli per la testa, ma magari agli occhi degli altri potrei essere Simona, una ragazza che rimane sulle sue, antipatica e poco socievole, per altri ancora potrei essere una ragazza superficiale, o attaccata ai libri per mancata vita sociale, o altro ancora. Sapete che vi dico? Chisseneimporta! (Ripetetevelo, tutto d'un fiato e ad alta voce tante volte.)
Se gli altri hanno un'opinione diversa da come voi credete che appaia è un problema loro. L'importante, è che voi sappiate chi siete e con quale intenzione mostrate la vostra persona, se con l'intenzione di apparire, di emergere, o semplicemente perchè siete così, senza malizia, spontanei.
Ciò che pensa la gente, rimane alla gente. Vi circonderanno "tante maschere e pochi volti" citando lo stesso Pirandello, voi vi accorgerete, senza sfociare nella follia come il povero Gengè, preso da una crisi d'identità, chi sono le persone che vi riconoscono e vi accettano per come siete, senza annuirvi dinnanzi e pensar male nelle proprie menti. Solo voi, in fondo, potrete sapere chi siete. Se voi non avete nessun dubbio, non ne avrà neanche la gente che saprà vederlo e apprezzarlo.
Solo per voi sarete quell'uno, e lasciate che vi basti anche questo. Voi, per voi stessi, siete già abbastanza. Dei centomila che apparite agli occhi degli altri deve preoccuparsi solo chi, inconsciamente o volontariamente, distorce gesti o parole vostre.
Non lasciate che quei centomila vi inducano a ridurvi a "nessuno". Voi siete quell'uno, e lo sarete sempre.

VOTO: 9

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