Titolo: Notre-Dame de Paris
Autore: Victor Hugo
Pagine: 537
Edizione: BUR Rizzoli
Prezzo: €9,00
Consigliato: Sì
Beh...da dove comincio? Parto già dal presupposto che sto per recensire il mio libro preferito, perciò scusate se sarò prolissa.
Notre-Dame de Paris, già il nome non vi fa sognare? La bellissima cattedrale non fa solo da sfondo nella copertina del libro, ma anche al romanzo stesso. Al suo interno ne è presente un capitolo intero riguardante la sua descrizione, ogni particolare, ogni colonna, ogni colonnina del rosone, tutto è descritto accuratamente. Hugo, infatti, ha questo stile molto analitico di tutto ciò che si propone di narrare, ed è possibile constatarlo anche in altre sue opere, come, ad esempio, "l'ultimo giorno di un condannato a morte" o "I miserabili". Pubblicato nel 1831 all'età di 29 anni, "Notre-Dame de Paris" è stato il romanzo che l'ha reso noto. Venne accolto con grande successo ed entusiasmo, evitando anche l'incombente censura dell'epoca, piuttosto frequente.
Ci troviamo nella Parigi del 1482. Un gruppo di zingari, provenienti dalla Spagna, si reca nella periferia della città, occupando un luogo preciso denominato "Corte dei miracoli" al fine di festeggiare la cosiddetta "Festa dei folli" in occasione dell'Epifania. I gitani cercano di guadagnarsi da vivere attraverso esibizioni, trucchi di magia, ma spesso accadeva anche che derubassero e ingannassero i propri spettatori, talvolta anche uccidendoli. Tra questo gruppo di zingari, capitanato dal crudele ma carismatico Clopin Trouillefou, emerge la figura della pura e buona Esmeralda, giovane ragazza di sedici anni oggetto di amore, seppur in forme differenti, dei tre protagonisti della vicenda: Quasimodo, il campanaro della cattedrale di aspetto deforme, divenuto sordo a causa delle campane che suona, abbandonato da piccolo dai suoi genitori zingari per il suo aspetto e preso in custodia da Mons. Claude Frollo, l'arcidiacono di Notre Dame, il quale comunica con lui attraverso un linguaggio a gesti; uomo di cultura, interessato anche all'alchimia. Il terzo personaggio è Phoebus de Châteaupers, capitano delle guardie di Parigi ed è l'unico a ricevere l'amore di Esmeralda. Per questo sentimento che ciascuno prova nei confronti della ragazza cominciano a susseguirsi una serie di vicende tutte concatenate tra loro, dal tentato rapimento di Esmeralda ad opera di Frollo (e Quasimodo in maniera pratica), al quasi concedersi della ragazza per paura di perdere Phoebus, il quale le fa credere di amarla con il solo scopo di soddisfare i suoi intimi istinti, fino al processo della ragazza stessa accusata di averlo accoltellato proprio in quella occasione. Ma come? Beh, vi dirò solo che la padrona di questo locale che affitta stanze ad ore ha visto entrare tre persone in quella stanza, benchè ne siano state ritrovate solo due, entrambe prive di sensi. Chi sarà mai stato? Non vi svelo la sorpresa, ma non è difficile intuirlo. Da quest'accusa la giovane Esmeralda sarà processata, torturata e condannata a morte; ci saranno numerosi tentativi di salvataggio da parte di Quasimodo, il quale, nel tragitto per arrivare a Place de Grève, luogo delle esecuzioni pubbliche, la trascina in Notre Dame dichiarando il diritto d'asilo, dal gruppo di zingari capitanato da Clopin, che ha sempre nutrito affetto per la ragazza quasi fosse una sorella minore per lui, e anche da una strana donna reclusa in maniera volontaria in una sorta di cella nei vicoli della città. Quest'ultima si rileverà un personaggio davvero importante, costituendo uno dei capitoli più commoventi del romanzo.
Non so davvero da dove iniziare per esprimere una mia opinione al riguardo. Mi trasmette così tante emozioni dalla prima all'ultima pagina che non so riassumerle in un unico aggettivo; dalle più "piccole" descrizioni (dato che, come ho già detto, vi è un intero capitolo dedicato completamente alla descrizione della cattedrale di Notre Dame) alla narrazione completa. Tutti noi conosciamo, o abbiamo sentito almeno una volta il nome Quasimodo, identificato come il "gobbo di Notre Dame", brutto fuori ma bello dentro diremmo noi, anche se, nelle versioni più note, la reale storia viene tralasciata o non la si conosce affatto. E che perdita, aggiungo!
L'amore narrato nelle sue diverse sfaccettature, quello reale e puro di Quasimodo, il quale tuttavia subirà inizialmente il disgusto della sua amata per il suo aspetto, la passione bruciante di Frollo, disposto a tutto pur di avere la zingara, pur di possederla, averla in corpo e anima, e la semplice attrazione di Phoebus, effimera quanto una notte. L'ingenuo amore di Esmeralda per Phoebus, innamorata della sua prestanza fisica, della sua uniforme, di quell'uniforme che l'ha salvata quella sera dal tentato rapimento, di quell'uomo che crede sia ciò che poi non è. L'amore di una madre che conduce alla pazzia, all'isolamento per il dolore di aver perso una figlia. L'amore di un fratello quasi, quello di Clopin per la sua piccola zingara che ha cresciuto e preso con sè. Perchè l'amore non è solo quello che si legge nei libri di favole, dove la principessa in pericolo viene salvata da un principe, vivendo in questo modo felici e contenti; in questo caso, una giovane zingara, che balla per strada con una capretta per guadagnarsi il pane, viene salvata davvero da un uomo guercio, zoppo, sordo, che non ama. E colui che ella crede l'abbia salvata proprio da Quasimodo, è un uomo che sotto l'armatura non ha nessun amore nei suoi confronti, non ha amore da dare, non amore sincero, ma l'amore correlato al desiderio carnale, ai propri interessi. L'amore è dannazione, la dannazione di Claude Frollo che è ormai un'anima perduta, tormentata, disposta a gettar via l'abito da prete per stare con il suo "angelo di fuoco", citando le sue parole. Lei, che danzando e cantando ha portato l'anima di Frollo a fremere dal desiderio, dalla passione, al punto di collocarla sopra allo stesso Dio, quel Dio per il quale con quella sua toga ha giurato di servire e amare per l'eternità. Ma l'eternità non esiste se non può avere lei. Basterebbe una sua carezza, un suo tocco. Ma, ovviamente, lei lo disprezza, lo ripudia, afferma di odiarlo dopo averla perseguitata per così tanto tempo portandola all'abbandono di se stessa, dopo aver ingiuriato contro di lei al processo, dopo averla allontana dal suo Phoebus (beata innocenza!). Eppure io non riesco proprio ad odiarlo, a considerarlo l'antagonista di questa storia. Semmai l'antagonista è l'amore stesso, di cui contemporaneamente ne è la salvezza. Come possiamo controllare i nostri cuori quando traboccano di passione, di desiderio, di altruismo, di coraggio, di un insieme di emozioni contrastanti che prevalgono sulla testa; ormai la ragione è persa, schiacciata, sottomessa. Così come sono sottomesse le anime di chi soffre per amore. Mentre coloro che l'amore lo ricevono, ma sono indifferenti nel donarlo, hanno anima, corpo, cuore e testa stabili, stazionari, sono disposti a dare il minimo per ottenere ciò che vogliono ricevere. E ci riescono. Mentre le anime dei dannati o dei sofferenti continuano a vagare nel buio, cercando il contatto di coloro che amano.
Victor Hugo ha uno stile impeccabile nell'esprimere tutto ciò. Avverto un'emozione indescrivibile solo nel leggere il titolo dei numerosi capitoli, come "lasciate ogni speranza", "la creatura di bianco vestita", ogni lettera così minuscola contiene un mondo.
Cosa può fare l'amore, quindi? Dove ci porta? A questa riflessione si accompagna la conclusione dell'opera. La tragica fine che colpisce tutti i personaggi è, per me, un inno alla vita, stroncata da un amore che non può concretizzarsi. Ciò che intendo è che bisognerebbe guardare all'amore con più attenzione, rendersi conto che chi ci ama davvero può essere un brutto gobbo sordo, ma un uomo splendido che farebbe di tutto per noi. Rendersi conto che spesso sotto un'armatura o un bell'aspetto non c'è nient'altro da mostrare. Rendersi conto che quando l'amore arriva è inutile reprimerlo, perché finirà solo con il logorarci. Anche essendo prete, giudice, povero o cavaliere, può forse essere una colpa amare qualcuno? Semmai bisognerebbe evitare che ciò sfoci in ossessione. La risata demoniaca di Frollo quando vede Esmeralda alla forca è frutto di un tormento interiore che Hugo esprime con la frase "una risata che non può esser reale se non da un corpo non più umano". L'anima di Quasimodo, distrutta dal dolore per Esmeralda, vola via con lei e per lei.
N.B. Sembrerà atroce forse per come ho espresso il tutto, ma tutto ciò è intervallato anche da momenti piacevoli come con la comparsa di Pierre Gringoire, il poeta parigino che diverrà uno degli accattoni dopo essersi introdotto nella Corte dei miracoli. Mi sono piaciuti anche i momenti descritti in quest'ultima.Un romanzo così traboccante di emozione e sentimento viene reso ancora più magico dalla "location", la meravigliosa Notre Dame. Se un giorno riuscirò mai a vederla dal vivo non farò altro che pensare e ad immaginare questi personaggi aggirarsi in quelle zone, in quei luoghi. E' il mio romanzo preferito in assoluto. Non riesco a trovargli nemmeno un difetto. Forse sì, l'ho finito in troppo poco tempo. Vi lascio con questa frase che probabilmente riassume tutto ciò che ho descritto finora:
« L'amore è come un albero: spunta da sè, getta profondamente le radici in tutto il nostro essere e continua a verdeggiare anche sopra un cuore in rovina. E quel che è ancor più inspiegabile è che più quella passione è cieca, più è tenace. Essa non è mai più solida di quando non ha in sè alcuna ragione.»
VOTO: 10
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