martedì 14 marzo 2017

Recensione: "Lettera al padre", Franz Kafka

Titolo: Lettera al padre
Autore: Franz Kafka
Prezzo: €9,00
Pagine: 122
Edizione:  Universale economica Feltrinelli
Consigliato:


"Carissimo padre, di recente mi hai domandato perché mai sostengo di aver paura di te."
Scritta nel 1919 e mai consegnata al destinatario, "Lettera al padre" ripercorre la storia di un rapporto complicato tra un padre troppo forte e un figlio troppo debole. Una lotta impari. Una figura a lungo temuta e fuggita, un padre distante, inaccessibile, che non hai mai compreso suo figlio, le sue paure, i suoi voleri, il suo "io". Una lettera disperata che non solo evidenzia l'influenza di una forte personalità contro un animo particolarmente sensibile, ma che diviene parallelamente un bisogno di riaffermazione di sé dinnanzi a una temuta e terribile negazione.



"Ad ogni modo eravamo così diversi e, in questa diversità, così pericolosi l'uno per l'altro, che se si fosse cercato di prevedere come il bambino che lentamente cresceva e tu, l'uomo maturo, si sarebbero comportati l'uno nei confronti dell'altro, si sarebbe potuto supporre che tu mi avresti semplicemente calpestato, senza che di me rimanesse niente. E invece non è accaduto, la vita non si può prevedere, ma forse quel che è accaduto è anche peggio.Tale confessione da parte dell'autore inizia affrontando quel che sarà uno dei temi fondamentali, la paura nei confronti del padre, la stessa che lo porterà ad una sorta di chiarimento interiore di quelle che sono le sue emozioni contrastanti ancor prima che questo suo dialogo abbia inizio. Rievocando i ricordi di infanzia, Kafka narra della sua "misura di tutte le cose", come da lui descritta, quella figura per lui così importante ma, al tempo stesso, così irraggiungibile. Dai ricordi narrati emerge tutto il suo rammarico, la sua vulnerabilità e l'incapacità di non essersi mai saputo opporre, anche in situazioni in cui avrebbe avuto tutte le ragioni per farlo, ad un padre troppo austero, che lo ha forgiato non solo emotivamente, ma anche nelle sue aspirazioni divenute ormai limiti e paure. Per l'adulto Franz anche semplici e abituali riflessioni inerenti all'ambito lavorativo o alla sfera sentimentale divengono motivo di veri e propri conflitti interiori, e vi sono esplicite accuse a ciò che è stata la sua esperienza nel rapporto padre-figlio, del "cattivo esempio" che ha ricevuto, alla continua freddezza subita. Ne derivano considerazioni alquanto pesanti che mirano ad evidenziare le continue violenze psicologiche e l'incoerenza pressante del padre, alla cui base non vi è altro che il desiderio di mostrare la differenza tra il temperamento e la fermezza del padre contro la sua debolezza, sia fisica che psicologica. A testimonianza di ciò , lo stesso Kafka afferma: "Già era sufficiente a schiacciarmi la tua sola immagine fisica. Ricordo, ad esempio, quando ci spogliavamo nella stessa cabina. Io magro, debole, sottile, tu forte, alto, imponente. Anche dentro la cabina mi facevo pena, non solo davanti a te, ma davanti al mondo intero, perché tu eri per me misura di tutte le cose". Di qui emerge il desiderio di avvicinarsi alla sua colonna portante, al suo punto fisso, alla sua misura di tutto e l'incapacità nel riuscirci. Nonostante vi sia questo profondo desiderio, il suo atteggiamento non sfocia che nell'indecisione, in un continuo colpevolizzare se stesso, nel sentirsi meno di lui e conseguentemente di tutti e tutto, una nullità se confrontato a suo padre e quindi, di conseguenza, al mondo intero. Sebbene Franz ripeta più volte che la colpa di tutto ciò, anche del suo modo di essere, non sia del padre (non completamente, almeno), dalle parole scritte emerge questo grande peso che ha sempre portato nei suoi confronti, poiché sottolinea come la colpa in fin dei conti non sia neppure sua. Lo descrive anche come un padre sempre dedito al lavoro, che ha permesso comunque ai suoi figli di studiare, nonostante in alcuni casi non ne abbia condiviso le scelte future; lo stesso Franz, infatti, descrive anche il momento in cui intraprende la sua carriera di scrittore e la mancata stima del padre nel fare ciò, facendo trasparire la scarsa convinzione di credere che il figlio avesse un talento del genere. Se questo aspetto non fa altro che peggiorare la figura del padre, bisogna anche considerare il contesto reale in cui tale scritto è inserito: effettivamente Kafka non ha mai avuto, quantomeno all'inizio, stima e successo come scrittore, solo Max Brod (giornalista, scrittore e compositore dell'epoca, è famoso soprattutto per esser stato biografo proprio di Kafka) sembrava credere nelle sue capacità e nel successo che avrebbero avuto i suoi scritti. Come tutti i padri, non stupisce poi più di tanto il desiderio di spingerlo a perseguire una strada che gli avrebbe garantito maggiore stabilità, dopotutto accade ancora oggi. Quale genitore non vorrebbe che il figlio avesse un lavoro stabile che gli permetta di costruirsi un futuro, una famiglia, una propria indipendenza? Un passo del genere può esser ricondotto anche nella semplice scelta dell'università da intraprendere: sarà capitato a tutti di voler perseguire un corso di studi che non garantisce, purtroppo, una stabilità lavorativa futura; maggiori possibilità possono essere offerte da facoltà di stampo tecnico-scientifico o giuridiche, ma non tutti son portati o preferiscono tali discipline. Spesso, tutt'oggi, si verificano ancora casi in cui i genitori tendono a sostituirsi ai figli, alle loro scelte, forzandole e facendo pesare la loro incapacità di portarle a termine. Perciò, nonostante la figura paterna di Kafka non abbia certo dei modi invidiabili nel proferire le idee e considerazioni nei confronti dei figli, non ha comunque impedito che intraprendessero strade da loro volute. Magari ne ha sempre sottolineato l'inutilità, la mancanza di talento, ma a questo punto "il testimone" non può che essere trasferito al ruolo di figlio, il quale può scegliere se effettivamente tener conto di quelle che sono le considerazioni negative del padre e comportarsi di conseguenza. Nonostante l'educazione fredda e austera, Franz ha sempre potuto fare delle scelte. Ha scelto di non opporsi mai, di non allontanarsi neppure da una figura per lui così negativa, sebbene importante.E' ormai chiaro che Herman Kafka abbia esercitato una notevole influenza sul figlio, ma proprio come da quest'ultimo affermato non è la causa principale del suo essere così sensibile. Nonostante, infatti, gli rivolga una serie di accuse, alla fine non lo incolpa mai. Anche in questo caso emerge una personalità fragile, vulnerabile a cui un tipo di educazione austera non ha certo favorito.Non che Franz sia vissuto privo di affetto, vi era pur sempre la figura della madre che cercava di risanare quanto possibile le sue ferite ma, come la maggior parte delle madri di famiglia dell'epoca, vi era una devozione completa alla figura del marito che spesso non permetteva di contrastare i suoi modi di fare. Ogni opera necessita di essere contestualizzata, bisogna sempre tener conto del tipo di società vigente e, naturalmente, delle complicazioni da esse derivanti per coloro che possedevano una personalità più fragile, più sensibile.
Non deve essere certamente facile crescere con dei punti di riferimento che si rivelano solo il crollo di tutte le fondamenta. Ciascuno ha bisogno di sapere di poter contare su qualcuno e i nostri occhi, automaticamente, si dirigono verso la famiglia. Sono loro che ci mettono al mondo e ci vedono crescere, spesso con fatica; li consideriamo, o vorremmo considerarli, il nostro rifugio, il nostro porto sicuro e può essere molto difficile costruirsi un proprio sé quando proprio quest'aspetto viene a mancare. Credo, però, che ognuno possa scegliere da sé chi essere. Qualsiasi esperienza vissuta, soprattutto quelle negative, permettono di scegliere comunque come reagire ed interiorizzarle. Abbandonarsi ad esse non permette mai di uscire da quel cerchio, di non varcare mai quella linea. Ma, dopotutto, c'è davvero qualcuno che ci dica "tu non puoi"? E' una voce che proviene da se stessi nonostante se ne attribuisca la colpa ad una seconda persona: siamo noi il vero limite di e per noi stessi. Sicuramente le esperienze che abbiamo vissuto, che ci abbiano forgiato in maniera volontaria o meno, hanno una notevole influenza su ciò che determina il nostro modo di pensare, agire, essere, ma ciò non costituisce un cambiamento definitivo. Noi possiamo scegliere chi essere, cosa cambiare, cosa accettare di noi stessi. Le paure possono essere affrontate, i limiti superati.. basta solo credere in se stessi. Se nessuno ci stima, neppure le persone che sono più importanti per noi, sicuramente ciò farà star male, ci potrà far credere di non valere nulla ma ciò non accadrà se i primi ad aver stima di noi stessi saremo proprio.. noi. Molti sottovalutano l'importanza di credere nel proprio io, nei propri valori, nelle proprie idee, nelle proprie intenzioni che ci portano ad agire in un determinato modo. Anche un padre austero che non ha saputo comprendere le nostre fragilità, che non ha saputo curarle e forse non ha fatto altro che alimentarle, non necessariamente determina un uomo adulto inutile e non necessariamente si comporterà con il prossimo, magari con un suo stesso figlio, conseguentemente ai modi ricevuti dal proprio padre. Ognuno può plasmare se stesso partendo semplicemente da sé. Deve far tesoro delle esperienze vissute, ma non basarsi unicamente su di esse. Quelle esperienze sono la nostra base di lavoro, ciò da cui trarre gli elementi necessari nella nostra formazione.Da questa lettera non emerge altro che un risentimento profondo per un padre che non ha saputo capire il figlio, di un adulto mai cresciuto ed ancorato al proprio passato, che non ha fatto altro che trascorrere la sua vita facendo passare i giorni fuggendo. Per vivere, per affrontare la vita ci vuole coraggio. Ognuno di noi ha in sé un mondo che non lascia vedere a nessuno, delle ferite mai rimarginate, dei limiti che ci ostacolano. La differenza sta in chi ha il coraggio di guardare dentro di sé e avere la forza di affrontare tutto questo contando unicamente sulle proprie forze, e non dipendere mai da ciò che gli altri dicono o vorremmo che ci dicessero.Prima se stessi. Gli altri possono solo seguirci, se vogliono, ma non potranno mai modificarci o manipolarci a loro piacimento se non lo permettiamo. Amatevi se nessun altro sembra farlo, comprendetevi, asciugatevi le lacrime, rialzatevi da ogni caduta, ascoltate ogni commento o giudizio ma non interiorizzatelo se, in fondo, sapete che non corrisponde alla realtà.In ognuno di noi c'è un po' di questo sensibile e vulnerabile Kafka, ma siamo noi a decidere di non esserlo più.





VOTO: 8


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